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Cultura, Librizzi

Esce “Il libertario dei Nebrodi”: la storia di Antonino Puglisi, anarchico librizzese

Prima che lo storico Giuseppe Alibrandi gli dedicasse una biografia, ad Antonino Puglisi era stata riservata una semplice citazione nelle cronache riservate ai movimenti anarchici, citazione che non era stata sufficiente a conservarne il ricordo e a dargli una tomba  dove piangerlo. Eppure gli Archivi di stato e quelli storici, specializzati nella conservazione della stampa anarchica, sono pieni di carte riguardanti Puglisi e i suoi compagni di fede come Leo Giancola e i fratelli Martino, Francesco e Salvatore, tutti schedati dal regime fascista con relative foto segnaletiche e profilo biografico al Casellario politico centrale dello Stato. Il faldone più consistente è quello riservato a Puglisi, comprendente i fascicoli del Tribunale speciale del 1926 e quello della polizia politica, sempre all’Archivio di Stato, mentre lettere e articoli pubblicati sulla stampa degli anni venti – “Libero Accordo”, “Umanità Nova”,”Adunata dei Refrattari”- sono disseminati nei vari archivi e biblioteche d’Italia ed estere, ad Amsterdam nell’istituto di storia sociale  e alla Pubblic Library di Boston. Una squadra di librizzesi ha affiancato l’autore nelle interviste fatte in paese all’ottuagenario Giuseppe Gugliotta e nelle ricerche, condotte negli elenchi dei Censi federali degli Stati Uniti d’America da Maria Muscarà Ingham, librizzese emigrata in America da molti anni. I fatti di questa storia risalgono al periodo della Grande guerra e al ventennio fascista. I nomi corrispondono ad Antonino Puglisi, calzolaio, Leo Giancola, barbiere, Salvatore e Francesco Martino che gestivano un calzaturificio a Messina in via XXVII Luglio e facevano scarpe assai apprezzate anche in Inghilterra o come si diceva allora nella perfida Albione. Erano la “meglio gioventù” della Librizzi antifascista. Erano compagni d’infanzia, nati nello stesso fazzoletto di anni 1896-97, abitavano nei quartieri di Forgia Inferiore, Librizzi Centro e nella frazione Cupranì. Erano soprattutto compagni di fede e di ritorno dalla Grande guerra, che avevano combattuto in trincea sulla linea Piave-Isonzo nella gloriosa brigata di fanteria Ferrara, avevano abbracciato l’anarchismo per opporsi al fascismo nel cuore dei Nebrodi, che aveva in San Piero Patti, la piccola Torino proletaria. A Librizzi e a San Piero Patti erano attive le due cellule anarchiche cresciute all’ombra del partito socialista che si raccoglievano attorno ai nomi di Puglisi e ai fratelli Aiello. Lettori, sottoscrittori e propagandisti della stampa anarchica, diffondevano “Umanità Nova” e l’opuscolo scritto da Errico Malatesta “Fra contadini” destinato a mobilitare i braccianti dei Nebrodi contro il caroviveri, per l’applicazione dei minimi salariali, delle otto ore e del sabato inglese nelle campagne, lotte che si conclusero con la sottoscrizione dei contratti agricoli alla Camera del lavoro di San Piero Patti. A fine ottocento la loro storia era un fiume che  attraversava la storia e raccoglieva fasce della popolazione rappresentativa di arti e mestieri e di intellettuali della buona borghesia come Nino Pino Balotta di Barcellona P.G. e Paolo Schicchi di Palermo. Non erano un gruppo di sbandati, nemici dello Stato per ragioni esistenziali, ma uomini che credevano nella società dei liberi ed eguali che si mobilitavano contro l’autoritarismo dello Stato e delle sue istituzioni, diffidenti del parlamentarismo ottocentesco cresciuto all’ombra delle monarchie costituzionali. Tra loro c’era chi era anarchico individualista e credeva nella propaganda del gesto fino all’uccisione del tiranno e chi credeva nell’organizzazione permanente degli anarchici, facendo fronte comune con gli arditi del popolo contro il fascismo. Puglisi pagò questa sua amicizia e corrispondenza con l’anarchico palermitano Paolo Schicchi, ma pagò soprattutto per essersi opposto  fisicamente al fascismo e ai suoi squadristi che intendevano vendicare le gesta di Nino contro la colonna degli assalitori diretti a San Piero Patti, da lui beffati al ponte Murmari fingendosi fascista. Abbandonata la colonna a San Piero Patti, diede l’allarme permettendo a comunisti, anarchici e arditi del popolo di difendere la camera del lavoro e la cooperativa di consumo. I fascisti lo affrontarono sulla strada che da Cupranì portava a Librizzi per dargli una lezione col “santo marruggiu”:  il loro capo, Giuseppe Rizzo, gli chiese di  arrendersi al fascismo e lo colpì  col bastone. Nino nel corpo a corpo si difese col coltellino  affilato  per intagliare le pelli e lo lasciò per morto a terra. L’episodio risale al 2 aprile del 1923. Fu latitante fino all’arresto alla stazione ferroviaria di Messina anni dopo. I librizzesi  emigrati a Newark sottoscrissero in America per la sua difesa e il 7 novembre del 1924 la Corte d’Appello di Messina, riconoscendogli la legittima difesa, gli ridusse la pena di 15 mesi e dieci giorni inflittagli dal Tribunale di Patti a  sette mesi e dieci giorni. Scontata la sua condanna restrittiva, tornò a lavorare con i fratelli Martino in via XXIV luglio. Il Tribunale speciale, entrato in vigore nel 1926, su proposta del comitato provinciale di  Messina, decise  per il suo confino politico prima a Favignana e poi a Lipari. Nella circostanza si accanì contro di lui la Sottoprefetturra di Patti che considerandolo un pericoloso nemico del fascismo si oppose alla decisione del Ministero dell’Interno, finito il confino nel 1931, di liberarlo e mandarlo a Librizzi in prova. Lo lasciarono morire al manicomio psichiatrico Mandalari di Messina dove gli era stata diagnosticata una “sindrome schizofrenica” dalla quale si riprendeva, tornando lucido e sereno per poi tornare ad aggravarsi restituito al confino. Non piegò mai la fronte, scontrandosi con la ferrea disciplina del confino dove disarmò del moschetto un milite della milizia nazionale fascista. L’amico d’infanzia del quartiere Forgia Inferiore, Leo Giancola, dall’America, New York, lo commemorò sull’Adunata dei refrattari nel marzo del 1945, annoverandolo tra i figli migliori dell’umanità, morto nella pienezza della sua ragione. Comincia un’altra storia nella storia, quella dei fuoriusciti anarchici da Librizzi che a New York incrociano i protagonisti dell’anarchismo italiano, anch’essi in esilio come Armando Borghi e Ugo Fedeli. Storia che si conclude nel viaggio dal paese dei Vespri, Librizzi, a Miami dove Vittorio Caporlingua va a trovare lo zio Leo Giancola e i librizzesi della prima emigrazione. Era l’anno 1961, quello col quale finisce la nostra storia, una storia di paese e d’anarchia.

(sintesi a cura dell’autore)

Giuseppe Alibrandi, nato a San Giorgio di Gioiosa Marea, è autore di saggi sulle tradizioni e i movimenti popolari siciliani. Biografo dell’anarchico Nino Pino Balotta, ha pubblicato con la Pungitopo Nino Pino: l’uomo e il suo tempo (1982). Con la stessa casa editrice ha pubblicato Lotte popolari nel messinese (1981), L’ombra di Monsignore e il romanzo La testa del dragone (1986). Per la Provincia Regionale di Messina, tra le altre collaborazioni, ha curato e scritto Archeologia delle tonnare messinesi (1997). Ha scritto Le “utili imprese” dei D’Amico Cumbo Borgia pubblicato su “Milazzo Nostra” (2008). Blogger, pubblica su Ventennio Europeo e Francigena in ScuolaER. Considera la scrittura come impegno sociale e democratico. Ama raccontare la storia e le storie. Infatti gli ultimi suoi lavori sono due ebook, scaricabili gratuitamente: Terri ‘mpisi (2005) dal sito Unilibro e La Repubblica di Sicilia (2007) su Il portale del Sud.

Informazioni su Salvatore Pantano

Giornalista e studente di lettere moderne. Lavoro nella redazione dell'emittente messinese OndaTV dove mi occupo prevalentemente di cronaca, politica, cultura ed eventi. Collaboro con il quotidiano Gazzetta del Sud e altri periodici locali. Blogger per passione dai tempi del liceo.

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